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I trend del lavoro che ci aspettano nel 2022

Dove andiamo? Come sarà il lavoro del 2022? Diremo addio allo smart working? Quali nuove professionalità nasceranno? E quante scompariranno? Non è facile rispondere a queste domande in una fase incerta come quella che stiamo vivendo. Possiamo però tentare di fotografare ciò che è avvenuto nell’anno che ci siamo lasciti alle spalle, e provare a ragionare su quale futuro ci riserva il 2022 per il mondo del lavoro. 

Le note dolenti A livello globale, nei primi mesi della pandemia, l’orario di lavoro è diminuito del 9%, la disoccupazione è aumentata, e a farne le spese sono stati i lavoratori con salari bassi e poche qualifiche. Alcuni analisti temono che la pandemia inaugurerà un’era più dura in cui queste persone faticheranno a trovare un’occupazione, o vedranno il loro lavoro svolto dalle macchine (Wired). 

  • Quattro trend del lavoro da tenere d’occhio quest’anno (Cnn).
  • Non sono i robot a licenziarci (Italian Tech). 

Perché essere ottimisti Tuttavia ci sono buone ragioni, scrive l’Economist, per non essere così pessimisti. A metà del 2020 l’OCSE aveva calcolato che in caso di una seconda ondata di contagi, la disoccupazione nei suoi Stati membri sarebbe stata intorno al 9% alla fine del 2021. Sappiamo come è andata a finire, eppure i dati sulla disoccupazione sono stati migliori del previsto. Tre fattori ci dicono che il mondo del lavoro continuerà a superare le aspettative nel 2022: 

  • il primo riguarda il lavoro da casa. Le stime suggeriscono che le persone trascorreranno cinque volte il loro tempo lavorativo fuori dall’ufficio rispetto a prima della pandemia, aumentando felicità e produttività (TechRepublic);
  • poi c’è l’automazione: molti economisti presumono che la pandemia introdurrà l’ascesa dei robot. È certamente vero che le epidemie passate hanno incoraggiato questo processo (del resto i robot non si ammalano), ma finora i lavori che si suppone siano più vulnerabili all’automazione, in realtà stanno crescendo altrettanto rapidamente di altri (The Economist); 
  • il terzo fattore, infine, riguarda la politica. Sulla scia della pandemia, infatti, politici e banche centrali sono diventati più interessati a contrastare la disoccupazione, piuttosto che perseguire obiettivi come la riduzione dell’inflazione – almeno per ora – o il taglio del debito pubblico. Viviamo un’epoca nella quale si spende parecchio. Negli Stati Uniti il governatore della Fed Jerome Powell ha promesso di mantenere una politica monetaria accomodante fino a quando l’occupazione non sarà aumentata sostanzialmente (Bloomberg). In Europa i politici sono molto meno ossessionati dall’austerità e i governi sono al lavoro per spendere il più imponente pacchetto di investimenti mai visto nel continente dopo il Piano Marshall. Insomma, un po’ migliori, forse, ne siamo usciti. 

 

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