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Smart working: una pratica guida su come funziona

Sono tante le aziende pubbliche e private, piccole e grandi, che hanno sperimentato, con i loro dipendenti e collaboratori, un modo diverso di operare, e che stanno cercando nuovi equilibri per affrontare il mondo del lavoro del futuro.

Se la pandemia di Covid-19 ha portato al centro della scena lo smart working, sono stati poi i numerosi vantaggi del telelavoro a spingere le realtà a chiedersi come proseguire, se chiedere ai propri lavoratori un regime misto tra presenza in ufficio e remote working o se archiviare l’esperienza.

Cos’è lo smart working

Prima ancora di analizzarne i vantaggi, è necessario comprendere perché si chiama smart working e in cosa consiste tale modalità di lavoro.

Termine adottato dalla cultura anglosassone, talvolta tradotto in italiano come “lavoro agile”, fare smart working non significa semplicemente lavorare da casa. Si tratta di una filosofia manageriale che ha l’obiettivo di fornire ai lavoratori flessibilità e autonomia nella scelta degli orari e dei luoghi in cui svolgere i propri compiti.

Lo Smart Working si fonda su tre principi fondamentali: flessibilità di luoghi e tempi, tecnologia e cambio di cultura aziendale.

A differenza del telelavoro, lo smart working è una forma contrattuale tra azienda e lavoratore all’interno di un rapporto di lavoro subordinato. Per questo può tornare utile la definizione che ne dà lo stesso Ministero del Lavoro: “Lo smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

In smart working, il lavoratore può eseguire il proprio lavoro alternando la sua presenza nei locali aziendali a giornate senza postazione fissa, nel rispetto dei limiti di lavoro giornaliero e settimanale definiti dalla Legge e dai contratti collettivi.

Come si fa a lavorare in smart working in Italia

La legge che disciplina lo smart working in Italia è del giugno 2017. In particolare, il Jobs Act sul lavoro autonomo riporta le misure per tutelare il lavoro autonomo non imprenditoriale e le misure volte a favorire “l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

È la Legge di Bilancio 2019 a modificare in seguito l’articolo 18 del Jobs Act e ad inserire il comma 3-bis. In base ad esso, il datore di lavoro deve dare priorità alle richieste di smart working formulate dalle lavoratrici per i tre anni successivi alla fine del periodo di congedo obbligatorio di maternità, e alle richieste dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità.

Con l’arrivo della pandemia e l’inizio del periodo emergenziale, la normativa si è adeguata con il decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n.6 che ha previsto “la sospensione delle attività lavorative per le imprese ad esclusione di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare, ovvero in modalità a distanza”. È stato quindi permesso l’accesso semplificato allo smart working per aziende private e per la Pubblica Amministrazione, anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa vigente. Per arginare possibili disagi, il Decreto Riaperture ha deciso per la proroga dello smart working semplificato fino al 31 agosto 2022.

Non manca però la volontà di prendere l’esperienza obbligata offerta dal Covid, incentivandone la diffusione in aziende e amministrazioni: il protocollo nazionale dello Smart Working nel settore privato, datato 7 dicembre 2021, introduce nuove tutele tra lavoratori e datori di lavoro.

L’adesione allo Smart Working deve avvenire su base volontaria ed è necessario sottoscrivere un accordo individuale, che chiarisce durata, modalità, strumenti e luoghi. Il protocollo introduce anche tutele per i lavoratori fragili, le donne, i disabili. Più articolata è la situazione nella Pubblica Amministrazione, ma anche qui la normativa sta facendo passi avanti. Il Ministero ha pubblicato infatti le linee guida per il contratto Smart Working PA, fornendo indicazioni alle amministrazioni sull’organizzazione dei contratti.

Smart working, come funziona

Lo smart working è prima di tutto un cambiamento del concetto di lavoro e una modalità differente di collaborazione tra lavoratore e azienda, migliorativa in termini di stile di vita per il primo e di produttività per la seconda.

Per funzionare, lo smart working va necessariamente a modificare la cultura e l’assetto organizzativo del lavoro. Il rapporto viene infatti impostato sugli obiettivi da raggiungere anziché sulle ore da lavorare, e al controllo si sostituisce la fiducia come base del rapporto gerarchico.

Se poi l’azienda ha una minor necessità di spazi fisici, è al contempo chiamata ad offrire al lavoratore device e strumenti tecnologici che permettano il lavoro da remoto, dai PC portatili ai software dedicati.

Nella pratica, lo smart working prevede che il lavoro da parte del dipendente venga eseguito in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza però stabilire postazioni e orari fissi. Il limite che rimane sono gli orari di lavoro giornaliero e settimanale definiti dai contratti nazionali. Si può lavorare in qualsiasi luogo, senza fare pause in orari predefiniti, e la modalità di lavoro si focalizza sul raggiungimento degli obiettivi.

Per lo svolgimento del lavoro, è poi necessario l’utilizzo di strumenti digitali di coordinamento e comunicazione da remoto, device e software che permettano la condivisione dei task, l’organizzazione di riunioni e videochiamate, e la comunicazione all’interno di team e divisioni.

Desideri saperne di più sullo smart working? Allora leggi il nostro articolo: “Smart working: luci e ombre”.

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