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Il segreto della felicità? Porsi le domande giuste.

Intervista a Giulio Xhaet, digital strategist e head of external communication di Newton spa

Musicista, comunicatore, creativo e formatore. Non è un caso se Giulio Xhaet sia diventato una delle 5 LinkedIn Top Voices italiane sui temi del lavoro in un momento storico di enorme cambiamento come quello che stiamo vivendo. Oggi partner e head of external communication di Newton spa, società di consulenza specializzata in comunicazione e formazione, Giulio ha recentemente dato alle stampe “Da Grande”, per Sonzogno: un libro che vuole aiutare le persone a chiedersi quale sia la propria vocazione per capire cosa vogliamo fare, chi vogliamo essere e cosa possiamo diventare, indipendentemente dalla nostra età.

Giulio, partiamo da te. Cosa sognavi di fare da grande?
Il musicista! In realtà, l’ho anche fatto, fino alla soglia dei 30. Poi, il mio percorso è cambiato, e ho iniziato a occuparmi di comunicazione e poi di formazione.

Qualcuno potrebbe rimproverarti il fatto che questo tuo percorso sia stato poco lineare. Che cosa gli risponderesti?
Nel mondo dell’ippica c’è un termine curioso – “the dark horse”, ossia il cavallo oscuro – che identifica quei cavalli che per buona parte della gara sembrano quasi tagliati fuori dalla possibilità di vincere. E che poi, però, sorprendono tutti e si giocano il primo posto, ribaltando le sorti della corsa. Spesso si arriva a cogliere dei risultati proprio grazie, e non nonostante, a una serie di esperienze anche molto diverse tra loro, e trovare da queste uno slancio inaspettato.

Questo è proprio il messaggio che rilanci con il tuo libro.
Esatto, è così. La multidisciplinarietà mi ha sempre affascinato. E anche il mondo del lavoro mi interessa guardarlo in una chiave antropologica e sociale e non tanto produttiva o performativa.

Il lavoro, oggi, specie per le generazioni più giovani, è anche una fonte di ansia.
È vero; personalmente, dietro a quest’ansia, leggo una tensione più forte a interrogarsi su chi siamo, su dove vogliamo andare, sul senso che diamo a quello che facciamo ogni giorno. E’ una tensione che può essere molto positiva, a patto che si diffondano gli strumenti per incanalarla nella direzione giusta.

A cosa ti riferisci?
Credo molto, ad esempio, nel potere delle domande. Attraverso il libro ho messo a punto un percorso di undici domande, che ho poi raccolto in quello che ho chiamato il personal purpose canva, che penso possano portare le persone a guardarsi allo specchio e passare poi all’azione.

In conclusione, se dovessi scegliere una di queste undici domande, di quale si tratterebbe?
Credo che forse chiederei a chi mi sta di fronte quando è stata l’ultima volta che si è sentito davvero felice, e perchè.

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